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Un caveat sull'uso dell'informatica per lavoro e per svago
«Se osserviamo l'espressione del linguaggio in quel luogo metaforico e tecnico che si chiama informazione, incontriamo forse la più grande trasformazione antropologica di ogni tempo, la meccanizzazione dei processi del pensiero [...]. L'individuo, attraverso il calcolatore, percepisce la realtà con potenza cerebrale inaudita, egli spazia su mondi estesi. A differenza della televisione, l'informatica richiede attività. Tuttavia la fenomenologia dell'uomo informatico non differisce per una maggiore libertà da quella dell'uomo televisivo. Essa richiede la spoliazione di ogni impulso autonomo della mente, che, come un meccanismo cerebrale, deve docilmente lasciarsi guidare dall'oggettività visiva. [...].
Ma il suo vero potere è l'esattezza, che vuol dire: conquistare il risultato definitivo. L'esattezza esprime ciò che non è più suscettibile di modificazione, di aggiunte, di correzioni, di novità. E' il grado zero dell'essere, o l'assoluto, L'uomo informatico ha l'ossessione del risultato, questa è la sua anima segreta: la passione feroce che rende febbrili i suoi occhi insonni. Apocalittico moderno, egli è ebbro di risultato. L'individuo si spoglia in apparenza di ogni soggettività. Ma una forza distruttiva possiede il suo cervello calcolatore, costruttore di cattedrali di impulsi elettronici, e lo apparenta misteriosamente al vegetale filiforme e alla pistola che spara. L'icona dell'uomo informatico è forse la più paradossale: la chiamano comunicazione e incontriamo un uomo che si dissolve nel "linguaggio".
All'opposto di Babele, dove gli uomini non si capivano benché parlassero, l'uomo informatico è puro comunicare - senza poter dire nulla.»
Fonte Marcello Croce, in "Tempi", n. 28, 22 luglio 1998
Categoria: Idee
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