Il ritardo dei pagamenti vede sempre vittima la piccola impresa e, nei panni dei carnefici, la grande azienda e la pubblica amministrazione? Spesso è così. Ma non sempre. Questo succede indipendentemente dalla dimensione. Chi è in una posizione di forza sfrutta la generale crisi di liquidità. È un fenomeno trasversale, alimentato principalmente dalla crisi. Ma è anche un problema culturale: da anni la pubblica amministrazione non paga o paga in tempi biblici. Questo ha permesso la perdita di ogni pudore fra molti imprenditori: la violazione degli accordi fra due controparti è quasi diventata un elemento di strategia aziendale. Lo Stato, agendo scorrettamente, ha creato le condizioni per questo caos. C’è una cosa che le banche potrebbero fare, per portare un poco di razionalità? Una cosa molto semplice sarebbe un diverso trattamento delle fatture scontate. Faccio un esempio: se io presento delle fatture in banca dove me le scontano e, poi, queste fatture non mi vengono saldate dal mio debitore, vengo io segnalato alla centrale dei rischi della Banca d’Italia, non chi mi ha dato la fregatura. Dunque, mi trovo con un doppio problema: perdo i soldi e, intanto, si degrada il rating attribuitomi dalla banca applicando i criteri di Basilea 2. Dunque, il denaro mi costerà di più. Un avvitamento pericoloso. Oggi molte medie imprese, con oltre 250 addetti, chiedono di usufruire della garanzia dei Confidi. Ma, per la loro dimensione, non vi sono ammesse. È pensabile un ampliamento del vostro perimetro d’azione? È vero, molte medie aziende del così detto Quarto Capitalismo bussano alla porta dei nostri confidi. Noi, però, agiamo secondo norme nazionali e comunitarie molto precise. E la logica vuole che restiamo concentrati sulle piccole aziende. Soprattutto adesso che il mercato del credito è in fibrillazione e il tessuto produttivo appare in rilevante difficoltà.
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