Accanto ai sostegni d'emergenza quali il rinvio delle rate dei mutui a lavoratori e imprese in cassa integrazione, le banche dovrebbero coinvolgere gli azionisti delle imprese, di ogni dimensione, in operazioni di più ampia prospettiva. Se credono nel futuro, gli azionisti non chiedano soltanto prestiti ma mettano anche nuovo capitale di rischio nelle loro società. Un vecchio socialista, Rino Formica, diceva del suo partito: il convento è povero ma i frati sono ricchi. Vale anche nel mondo dell'impresa, se è vero che dal 1998 al 2007, come si legge nel rapporto di Mediobanca su un campione di 2020 società, la quota di valore aggiunto destinata ai profitti lordi è passata dal 27 al 38% mentre quella diretta al lavoro è scesa dal 54 al 41%. E tuttavia può capitare che un buon numero di frati non sia abbastanza ricco ma i loro conventi restino meritevoli. Tocca allora alla banca prefinanziare a medio-lungo termine, sia direttamente che attraverso strumenti come il private equity, la ricapitalizzazione dell'impresa. Liberato dall'incubo della scadenza e del ricatto dei tassi, l'imprenditore lavorerà e, alla fine, tra 5-8 anni, ripagherà la banca-amica secondo i contratti e senza mendicare raccomandazioni dal prefetto.
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