Di fondazioni, banche e territori
Mon 15 Nov 2010, 11.35 Stampa
Segnalo due articoli che mi hanno fatto riflettere oggi sul futuro delle banche italiane. Il primo, di Giovanni Pons, è uscito su Repubblica-Affari & finanza titola "
Unicredit, tolta la diga Profumo le fondazioni vogliono tutto". Il secondo, di Gianni Credit (firma del Sussidiario.net), ragiona delle "
nuove banche che piacciono alla Lega".
Le tesi e i toni dei due articoli sono dissonanti, ma la questione posta è la medesima: quella dei soggetti "pubblici" che vogliono contare di più nelle banche, e che vogliono banche più funzionali agli interessi economici dei territori. Secondo Pons, nel caso di Unicredit le fondazioni azioniste premono per spostare il focus strategico sull'Italia e sull'attività di local banking, a scapito della presenza internazionale e dell'investment banking. La Lega Nord, sottolinea l'altro articolo, rivendica competenze regionali in materia di credito e questo disegno si salda con i progetti di ispirazione governativa (nuova Cassa DD.PP., Banca del Sud) tesi a rinsaldare alleanze tra i soggetti pubblici, le fondazioni e comparti del sistema bancario (come il credito cooperativo) non contendibili dal mercato finanziario.
Non voglio allargare il dibattito a temi troppo vasti per aleablog, che lascio ad arene più qualificate. Mi limito ad osservare alcune cose:
- il modello italiano di banca territoriale ha retto meglio alla prima ondata della crisi, perché ha tenuto lontani i rischi; ora mostra segni di affaticamento; è un modello che deve essere aggiornato, e deve fare i conti con l'imperativo dell'internazionalizzazione;
- che i governi (al centro e nelle regioni) vogliano leve importanti per muovere il credito non è in sé sbagliato; il buon uso di queste leve richiede però intelligenza tecnica dei banchieri "pubblici" e autolimitazione degli interessi di breve dei politici; mi chiedo se ci sono nella quantità e qualità necessarie;
- le banche pubbliche, in senso lato, vivono di una dotazione di capitale ereditata dal passato, e della capacità di alimentarla principalmente con gli utili non distribuiti; se questa non basta deve intervenire lo Stato, o si è costretti a vendere sul mercato finanziario; nei disegni di consolidamento domestico e collegamento organico con le politiche di sviluppo territoriale si dà per scontato che il patrimonio sia un pozzo di san Patrizio, ma in realtà è un serbatoio che deve ogni tanto essere riempito per non restare a piedi.
Toccare le banche significa mettere in moto impatti pluridecennali. Temo che la generazione che sta pensando questo ridisegno, si curi soltanto dei risultati che vedrà lei. Lo si potrebbe dire di tante cose che si fanno e non si fanno in Italia.
Luca