ABI e Confindustria lanciano il progetto "Comunicazione finanziaria". Non dimentichiamo la gestione (finanziaria)
Tue 25 May 2010, 10.17 Stampa
L'ABI ha diffuso ieri sul proprio sito questo
comunicato:
Costruire insieme alle imprese uno strumento di autodiagnosi, con finalità strategiche, per realizzare un “identikit” che permetta di guardare al futuro e non solo al passato delle imprese, valorizzando soprattutto le informazioni qualitative. Con questo obiettivo è pronto il Tavolo di lavoro tra ABI e Confindustria per il vademecum della comunicazione finanziaria tra banche e imprese. L’iniziativa sarà aperta anche ad altre realtà associative.
Il Progetto è stato annunciato oggi a Roma, nel corso della presentazione delle semestrali ABI, da Vincenzo Boccia, Presidente Piccola Industria Confindustria, e Giovanni Sabatini, Direttore generale dell’Associazione Bancaria Italiana.
Alla base dell’iniziativa, l’idea di un rapporto banca-impresa che sia fondato anche sullo scambio di informazioni e sul “fare sistema” dal basso: mettere in rete le informazioni significa lavorare insieme su un progetto comune.
Il miglioramento della comunicazione finanziaria impone impegno da entrambe le parti; in particolare, le imprese dovranno attrezzarsi per presentare un quadro esaustivo degli aspetti quantitativi e qualitativi della propria attività. Le banche, da parte loro, dovranno valorizzare sempre più queste informazioni fornite dalle imprese.
L'iniziativa è lodevole. Sarebbe però necessario mettere a tema, prima della comunicazione, la gestione finanziaria delle imprese italiane. Il dibattito è sempre centrato sulla finanza esterna, che si parli di credito (e di garanzie) o di equity (Fondo Italiano di Investimento o Mercato Alternativo del Capitale). Sarebbe più utile fare una campagna di educazione finanziaria, con declinazioni diverse per la grande, la media, la piccola e la micro impresa. Non una mera sensibilizzazione (opuscoli, forum, cartoni animati), bensì un lavoro approfondito e concreto, che vada a caccia di tutti i colli di bottiglia culturali, legali, informatici che oscurano la lettura delle dinamiche finanziarie d'impresa e ritardano le diagnosi, le decisioni conseguenti, l'esplorazione delle opportunità.
Con la crisi, sono poco applicabili gli interventi di private equity basati su investitori "estranei" che puntano ad estrarre valore su pochi anni di investimento.
In Italia ci sarebbe invece bisogno di formule giuridiche, modelli di valutazione condivisi che facilitano investimenti "privati" di imprenditori che si ritrovano attorno a progetti di interesse comune (crescita, innovazione, aggregazione, internazionalizzazione), li seguono in prima persona e ci rischiano soldi loro. Penso che questi soldi ci siano, in molti casi, e le prospettive di rendimento dei mercati finanziari non sono così attraenti come in passato, per cui sarebbe più attraente l'investimento diretto in equity (magari con qualche alleggerimento della fiscalità).
Naturalmente, non scopro l'acqua calda, ben sapendo che si fanno alleanze, joint ventures, aggregazioni, accordi di fornitura strategici, ecc. Penso però che ci siano grandi spazi di miglioramento e di rafforzamento delle piattaforme di condivisione del rischio di impresa.
E' un tema che può interessare a Confindustria, o a
Rete Imprese Italia?
Luca