De Grawe sta con Volcker: narrow banking e stop alle cartolarizzazioni

Fri 20 Nov 2009, 18.07 Stampa

Sapio mi segnala opportunamente l'intervento di Paul De Grawe, economista dell'Università di Lovanio, su Repubblica:
CARTOLARIZZAZIONI SERVE UNO STOP

Repubblica — 19 novembre 2009 pagina 28 sezione: ECONOMIA
LE BANCHE hanno creato la crisi finanziaria e ne sono state quasi travolte. È indubbio che il sistema bancario debba essere riformato ma il problema è come. Un primo passo per individuare la risposta è comprendere la natura dei rischi che creano le banche. Innanzitutto, le banche ottengono credito a breve termine e cedono prestiti a lungo termine creando un tipo di rischio del tutto particolare: il rischio liquidità. Consiste nel fatto che i depositanti potrebbero senza preavviso tentare di ritirare i propri depositi dalla banca è benché ciò accada con una bassa frequenza, quando succede, gli effetti sono devastanti. Quantificare un rischio che è il risultato di movimenti collettivi di sfiducia e di panico è difficile se non impossibile e quindi non disponiamo di basi scientifiche per predire le crisi della liquidità. In secondo luogo, le banche costituiscono il centro del sistema dei pagamenti in una rete di crediti e prestiti reciproci. Questo mercato interbancario tende a sua volta a creare un rischio derivante dall'interrelazione, dove il fallimento di una banca colpisce le altre direttamente. Un problema insorto in un istituto si propaga all'insieme del sistema bancario come una malattia infettiva. I rischi nel sistema bancario tendono quindi a essere correlati. Il metodo della cartolarizzazione diffusosi a partire dagli anni ' 80 era stato considerato un modo per ridurre il rischio sistemico in quanto spalmava il rischio di una singola banca su più istituti. Nei fatti però ha prodotto l' opposto aumentandolo. Come riformare il sistema? Le strade sono sostanzialmente due. La prima, verso la quale politici e legislatori sembrano orientarsi, poggia sull' idea che i rischi creati dalle banche possano essere gestiti e limitati con requisiti di capitale e di liquidità appropriati e prevede quindi che le banche mantengano il business model che permette loro di cartolarizzare i crediti, sottoposte però a una regolamentazione e a una supervisione più stringenti. Il problema qui è che non disponiamo di una teoria della liquidità e dell' interrelazione del rischio, ma solo di una teoria del rischio singolo. Questa teoria quindi non è utile per gestire le incertezze che si creano nel sistema bancario. Il secondo approccio constata che non disponiamo di strumenti per quantificare i rischi creati dal sistema bancario e che quindi possiamo solo limitare questi rischi restringendo i campi di attività delle banche. Il cosiddetto narrow banking prevede che alle banche non sia consentito di mantenere le attività che aumentano il rischio interrelato e correlato. Poiché la cartolarizzazione dei crediti lo fa, essa non sarebbe più consentita. La limitazione del tipo di attività delle singole banche mira a minimizzare la capacità del sistema bancario di potenziare il rischio correlato, un rischio che ovviamente non può essere eliminato del tutto, ma che può certamente essere contenuto. Le banche e il loro numerosi lobbysti protestano sostenendo che il narrow banking sarebbe pessimo e che ridurrebbe l' innovazione e la crescita. Le autorità però non devono lasciarsi convincere. Questa protesta contro il narrow banking serve esclusivamente gli interessi delle banche, il cui unico obiettivo è ripristinare la situazione precedente alla crisi, che aveva permesso loro di generare cospicui profitti facendo in modo che la maggior parte del rischio gravasse sul resto della società.

In effetti il business model delle banche nel 2009 è tornato alla grande alle mode pre-crisi, pensiamo alle ripetute galoppate dei trading desk con strategie ad altissima frequenza. Un modo rapido per rimpinguare il patrimonio impoverito dalla crisi, e per convincere gli azionisti a fare la loro parte. Il fronte di degli scettici si allarga, ma non ha la forza per cambiare i comportamenti delle banche. E' facile accusare di luddismo finanziario posizioni come quelle di Volcker o di De Grawe. E' difficile falsificare la dura legge degli utili bancari, che si fanno quando si può e come si è imparato a fare. Sono prassi e riflessi condizionati soggetti a mutazioni secolari, non istantanee. Ma dato che il realismo e il buon senso danno ragione a Volcker, ci sarebbe bisogno di unire le forze per provare la dignità culturale e la convenienza pratica di posizioni come la sua.

Luca

Commenti precedenti:


andrea bianchi (21/11/2009 11.23) n/a

ma qui siete tutti convinti che la crisi sia da trading book e non da rischio di controparte?

andrea bianchi (21/11/2009 11.35) n/a

voglio dire: non sarebbero sufficienti regole più rigide rispetto alla vslutazione delle controparti che hanno originato i titoli tossici?

come si fa a fare un istruttoria di fido con autocertificazione o senza preoccuparsi della capacità di rimborso?

Luca (21/11/2009 14.33)

Andrea: i rischi subprime si prendevano perché il modello di business era quello di un trader: non è rischioso quello che riesco a vendere prima che il prezzo vada giù.

andrea bianchi (21/11/2009 17.03) n/a

certo luca ma non si può affermare che la causa del danno è il trade se il credito è fatto male.

e se il credito lo faccio di schifo perchè tanto non me lo tengo addosso ancora una volta non è colpa del trade ma piuttosto di regole assurde o inesistenti sul credito che poi cartolarizzo.

mi pare semplicistico ritenere che separando trade e credito come per magia il problema si risolve.

peppex (23/11/2009 12.44)

Interessante quanto scritto da De Grawe.

In realtà già la nuova CRD prevede di limitare la possibilità di cedere crediti sul mercato da parte delle banche, imponendo un allineamento di interessi tra originator e sottoscrittore.

In pratica ogni volta che una banca cede rischio sul mercato deve ritenerne una parte non inferiore al 5% (non è ancora chiara la percentuale finale).

Vorrei anche aggiungere che potrebbe sembrare un pò demagogico stigmatizzare le securitisation.

Quanto successo durante la crisi è stato un estremizzazione del concetto di securitisation che in una logica di Risk Management ha una sua valenza.

Poniamoci nella prospettiva di una piccola banca che ha il suo portafoglio crediti concentrato sia a livello territoriale che settoriale, avendo erogato solo in un'area dell'Italia e per esempio solo ad imprese del settore tessile.

Il rischio sistematico a cui è esposto è elevato e senza securitisation non diversificabile.

Attraverso il modello della securitisation essa potrebbe acquistare crediti erogati da un' altra banca in un'altra regione e in un'altro settore, di fatto riuscendo a diversifica il proprio rischio, abbasando il Var e ottimizzando il capitale economico.

Discorso che vale nel caso opposto di una banca che voglia sottopesare un determinato settore.

La crisi finanziaria è nata da un eccessivo uso del modello originate to distribute, che ha portato istituzioni finanziarie di un certo spessore a ragionare non in un'ottica di Active Credit Portfolio Management ma in un'ottica di puro trading su asset per definizione illiquidi (crediti) con bassissimo merito creditizio (subprime) e con leve altissime.

La cartolarizazione se contestualizzata e utilizzata per fini di asset allocation permette non solo di gestire meglio i rischi della banca ( o del confidi) ma anche, nel caso di crediti a PMI, di permettere l'accesso al mercato dei capitali alle PMI (basti pensare alle operazioni sponsorizzate da Bei, o ai modelli tedeschi di securitisation).

Luca (23/11/2009 13.11)

peppex: sono completamente d'accordo; per fortuna le cartolarizzazioni di crediti alle Pmi si sono comportate decorosamente nella crisi.

Sapio (23/11/2009 20.02) n/a

Peppex, d'accordo su tutto. Solo una cosa: bassissimo merito creditizio. Questo si è saputo poi. Prima le agenzie di rating hanno esagerato con giudizi (strapagati) eccessivamente ottimistici. Se i giudizi fossero stati equilibrati e veritieri ci saremmo evitati tanti guai.

Beppe (23/11/2009 22.43) n/a

Si ma quanto costerebbe al confidi un'ipotetica cartolarizzazione tradizionale? Puo' esse forse piu' utile un cds(a quale prezzo?) o meglio ancora una tranched cover (per quale ptf?). In tutti i caso occorrerebbe che il confidi sia in grado di classificare i propri rischi....

andrea bianchi (23/11/2009 23.32) n/a

bassissimo (ed il superlativo pare poco) merito creditizio certo, frequentemente non evidenziato dalle agenzie di rating incaricate di misurarlo.

il vizio è stato fare carta o altro?

peppes (24/11/2009 15.37)

Intanto complimenti al prof. Erzegovesi per questo utilissimo blog.

Sapio:Non sono proprio d'accordo nello stigmatizzare le agenzie di rating, il loro mestiere constiste nel valutare aziende ed emissioni sulla base di serie storiche abbastanza lunghe e di evidenze derivanti, nel caso di securitisation, da una analisi dei flussi di cassa e della contrattualistica sottostante l'operazione.

Tendenzialmente esse assegnando un rating AAA ad una tranche senior altro non dicono che lo spessore delle tranche subordinate sarebbero in grado di assorbire le perdite attese (tranche junior) e parte delle inattese (mezzanine) e garantire il rimborso delle tranche più subordinate a meno del verificarsi di eventi estremi.

Assegnare AAA equivale a dire che la probabilità di non ricevere il rimborso è pari ad una PD largo circa di 0.01%, cioè una su 10,000, quindi solo in caso di evento estremo (rischio sistemico).

Direi che il crollo del sistema immobiliare USA (in crescita costante per tutto il XX sec.)possa definirsi un evento estremo.

Semmai il problema è un pò più politico (come sempre) che economico.

E'politicamente redditizio e socialmente lodavole dare case a tutti anche a chi non può permettersi di ripagare il mutuo (Fannie Mae e Freddie Mac erano "sponsored government enterprises")ma non necessariamente economicamente corretto.

Il tema è quindi quello di usare gli strumenti di securitisation non per scaricare rischi sul mercato ma per migliorare l'allocazione dei rischi.

Ovviamente per rispondere a Beppe occorre saper misurare i rischi e soprattutto remunerarli.

Un Confidi in grado di misurare il rischio deve essere anche in grado di prezzarlo, poichè non è sbagliato (qui mi aspetto tante polemiche) affidare o garantire un'impresa molto rischiosa (non ovviamente prossima a portare i libri in tribunale) se si remunera adeguatamente il rischio assunto, scaricando viceversa il prezzo dell'impresa meno rischiosa.

Pensiamo alle tranche covered.

Personalmente ritengo che sia i Confidi che le banche, ma soprattutto, le imprese possano trarre vantaggi da un corretto utilizzo della finanza strutturata, cercando però di "fare sistema"...ma questa è un'altra storia (sicuramente poco italiana)..

Bye

Beppe (24/11/2009 16.07) n/a

Bravo Peppex, hai centrato il tema cruciale (o cmq il principale), ovvero la capacità del confidi di misurare il rischio e conseguentemente misurarlo.

So che verranno avanzati i temi della mutualità, del fatto che il confidi non ha scopo di lucro, ecc. Ciò tuttavia appartiene ad una logica che, nei fatti, comincia ad essere un po' obsoleta.

Il (nuovo) confidi deve mantenere e calcolare un profilo di economicità e sostenibilità del proprio "business", anche (anzi: a maggior ragione) se destinatario di risorse pubbliche(ricordo infatti che trattasi di denaro proveniente dalle tasche dei contribuenti...); deve relazionarsi con le banche in grado di offrire gli strumenti giusti;

deve trovare partner in grado di offrire consulenza e servizi utili; tutto ovviamente, sempre, per il bene delle imprese.

Se poi tale bene passa attraverso la finanza strutturata, d'accordo, vorrà dire che ci metteremo a studiare....

Luca (24/11/2009 19.21)

Peppex: concordo sul fatto che le agenzie di rating non sono le prime responsabili della crisi. E' però indubbio che abbiano assecondato (con profitto) un modello di finanza speculativa (schema Ponzi) che operava per volumi ad alto impatto sistemico. I loro modelli di portafoglio crediti non scontavano il rischio bolla, o comunque ipotizzavano una tenuta dei parametri che guidano la dispersione delle perdite (primo tra tutti la correlazione tra insolvenze) del tutto ottimistici rispetto all'esperienza anche solo di 10-15 anni prima. L'attuale crisi creditizia non è la prima della storia.

Rispetto all'utilità delle tecniche di pooling e tranching per i confidi, c'è da fare un lavoro rigoroso di studio e approfondimento, tenendo chiari gli azzardi comportamentali di tecniche che alla fine trasferiscono rischi estremi su investitori senior che ne devono essere consapevoli.

andrea bianchi (24/11/2009 19.29) n/a

sarebbe bello un pool di pezzi creditizi tailor made trattati dai confidi.

avrà pure basso rendimento ma il livello di rischiosità dovrebbe essere molto contenuto.

sarebbe un modello di finanza buona.

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