Ancora sulla mission dei confidi
Sat 31 Oct 2009, 09.30 Stampa
Noto con piacere che la discussione sui post in materia di confidi è sempre vivace, con molti interventi lucidi e, fatto importante, una convergenza sulla diagnosi dei problemi pur mantenendo opinioni diverse sulle priorità e sulle soluzioni.
I confidi non hanno davanti a sé una strada piana e ben tracciata. Prima di tutto, l'eterogeneità nel settore si accentua. Alle note differenze di dimensione, ambiti settoriali e territoriali, forza del legame con le associazioni d'impresa, accesso a fondi pubblici, si sono aggiunte due ulteriori linee discriminanti: quella tra vigilati e non vigilati, e quella tra solvibili e pericolanti. Linee non sempre nette, che però producono un'eterogeneità ancora più marcata di situazioni.
Non ripeto quello che Sapio, Excelsus, Andrea e altri abituali frequentatori del blog (che sarebbe lungo citare) ribadiscono nei loro graditi interventi. Aggiungo alcuni spunti di riflessione:
- c'è un disperato bisogno di bancabilità per le Pmi che hanno conti dissestati dalla crisi e un futuro incerto; la garanzia sul consolidamento del debito agevolata da aiuti pubblici è oggi uno dei pochi strumenti che esiste e può fare qualcosa; i confidi sono il canale elettivo per distribuire garanzie agevolate (sebbene non l'unico);
- le garanzie agevolate non sono la cura della malattia, ma un prezioso supplemento di tempo in attesa della guarigione (portata dalla ripresa, da un'iniezione di capitale, da una ristrutturazione, ecc.); quindi va benissimo darle, ma un istante dopo bisogna prepararsi a quello che potrebbe succedere dopo sei mesi, uno o due anni; le aziende vanno seguite;
- i confidi sono il partner naturale, per le banche e gli enti pubblici, per questi interventi di sostegno; attenzione però, non basta passargli un pezzo del cerino acceso (o della candela); se si prendono rischi devono essere in grado di sopravviverci, a meno che si voglia farli sacrificare come gli studenti toscani a Curtatone e Montanara (che tristezza quell'episodio della prima guerra di indipendenza, una guerra persa, alla fine); se invece sono un conduit che gira rischi allo Stato e alle regioni, è probabile che facciano poco per prevenire e curare quei rischi (lo stesso dicasi delle banche che veicolano garanzie dirette), per cui alla fine anche questo modello non è sostenibile, finisce con i soldi pubblici e alla fine tutti a casa;
- il rischio di scivolare verso un modello di confidi - bad bank è reale; accettare questo rischio fa parte della mission dei confidi; però c'è modo e modo; ha senso portare i pesi delle difficoltà finanziarie delle aziende se le si affianca nel pezzo di strada che le porterà fuori dalle secche o che le accompagnerà alla cessazione dell'attività; per fare questo il confidi deve saper pianificare e consigliare rispetto a programmazione di tesoreria, ristrutturazione del debito (cura palliativa, ribadisco), ricapitalizzazione, riassetto, liquidazione volontaria, procedure concorsuali; deve imparare a fare queste cose, non da solo, ovviamente, con altri consulenti (però costoro, siano essi professionisti o strutture associative, non si mettano di traverso dicendo che spetta a loro, e non facendo nulla); le risorse vanno investite anche qui, ma una parte del costo la pagherebbero le aziende stesse, che in cambio accedono a risorse pubbliche e - soprattutto - non sono abbandonate al loro destino, e vi pare niente? E il confidi può trovare in queste linee di servizio quel flusso di ricavi stabile che paga strutture più qualificate e costose (vedi 107), e che rimarrebbe a crisi superata. I servizi di cui si parla (quelli del business office, se non si era capito) interessano anche alle imprese sane.
Se si ignorano gli ultimi due passaggi, si discute a vuoto, tirando a campare, ammantati di nobilissime intenzioni. L'alternativa che propongo è un'impresa da battaglione alpino, impossibile senza coraggio, spirito di corpo, energia, intelligenza pratica. Una fatica da bestie, garantito.
Chi ci sta?
Luca