Ancora sulla mission dei confidi

Sat 31 Oct 2009, 09.30 Stampa

Noto con piacere che la discussione sui post in materia di confidi è sempre vivace, con molti interventi lucidi e, fatto importante, una convergenza sulla diagnosi dei problemi pur mantenendo opinioni diverse sulle priorità e sulle soluzioni.
I confidi non hanno davanti a sé una strada piana e ben tracciata. Prima di tutto, l'eterogeneità nel settore si accentua. Alle note differenze di dimensione, ambiti settoriali e territoriali, forza del legame con le associazioni d'impresa, accesso a fondi pubblici, si sono aggiunte due ulteriori linee discriminanti: quella tra vigilati e non vigilati, e quella tra solvibili e pericolanti. Linee non sempre nette, che però producono un'eterogeneità ancora più marcata di situazioni.
Non ripeto quello che Sapio, Excelsus, Andrea e altri abituali frequentatori del blog (che sarebbe lungo citare) ribadiscono nei loro graditi interventi. Aggiungo alcuni spunti di riflessione:
Se si ignorano gli ultimi due passaggi, si discute a vuoto, tirando a campare, ammantati di nobilissime intenzioni. L'alternativa che propongo è un'impresa da battaglione alpino, impossibile senza coraggio, spirito di corpo, energia, intelligenza pratica. Una fatica da bestie, garantito.
Chi ci sta?

Luca

Commenti precedenti:


excelsus (31/10/2009 10.48) n/a

Professore complimenti per l'ottima analisi.

Mi è piaciuto soprattutto il passaggio del Confidi consulente d'impresa ed il fatto che però esso non possa, per ovvi motivi, assurgere a refugium peccatorum delle Banche partner.

La missione è ardua ma non impossibile.

andrea bianchi (31/10/2009 15.36) n/a

caro Luca ho passato un anno nella Tridentina e come sai le sfide mi piacciono ...

Nicola (31/10/2009 16.27) n/a

Sante parole Professore.

La crisi ci ha masso tutti di fronte a scelte radicali; anche ai confidi e professionisti.

Il business office è un'idea geniale.

Gigi (31/10/2009 16.32) n/a

Grazie professore per il rilancio ordinato di temi fondamentali emersi qualche post fa. Da operatore del settore mi trova sostanzialmente d'accordo su tutto. Mi permetto di aggiungere alla sua puntuale analisi, come alle PMI, secondo me, sia necessaria una consulenza non solo finanziaria/amministrativa (confidi?), ma anche strategica e di marketing (business office?). Però le imprese non lo sanno e non riescono ad esprimere questo bisogno se non quando vanno in crisi. L'esigenza di consulenza è grande, la domanda no. Come rendere consapevoli le imprese di questo prima di arrivare alla crisi?

E, introducendo un tema collaterale, quanto questo modello di confidi consulente (quindi business oriented) potrebbe essere coerente con le associazioni di categoria, di cui i confidi sono emanazione, che hanno sostanzialmente finalità politico/rappresentative abbastanza lontane dalle reali esigenze delle aziende?

Così come i confidi, anche le associazioni, secondo me, per diversi motivi, sono troppe. Ha senso che dopo 20 anni dalla caduta del muro di Berlino ci siano Confartigianato e CNA, Confesercenti e Confcommercio, Coldiretti e Confagricoltura oltre ad altre diecimila sigle che offrono solo posti in consiglio di amministrazione ad aspiranti politici o ad imprenditori poco capaci che vengono messi lì (in mancanza di presidenze di club calcistici) per non fare danni in azienda?

Grazie.

ps

The answer, my friend, is blowin' in the wind,

The answer is blowin' in the wind.

Luca (31/10/2009 17.17)

Quando la consulenza tocca il business, o altre materie hard (ad esempio, le tecnologie produttive), occorre qualcuno che sa perché ha fatto: il miglior consulente è un ex dirigente, un imprenditore, un tecnico bravo. Il business office può ambire a fare il medico di famiglia ma limitatamente alle problematiche finanziarie. Coglie i problemi che hanno un sintomo economico-finanziario e una causa probabilmente strategica, organizzativa, commerciale, o che ne so. Magari può essere il tramite per trovare l'esperto giusto.

Quello che Gigi lamenta della associazioni lo potremmo dire di tante entità politiche, amministrative, della società civile che in sé hanno origini e missione degnissime. Come liberarsi dei soggetti che dicono e non fanno? Pensiamo a un ospedale, o (parlo del mio) dell'Università: si alzano le richieste in termini di cose che servono, che rispondono a delle esigenze della comunità di riferimento, degli utenti. Si verifica la soddisfazione di questi ultimi. Si mettono in concorrenza offerte diverse (smontando monopoli, mercati captive, privative e appannaggi vari). Si adottano catene di comando corte, per cui il capo ha la responsabilità diretta di quello che si deve realizzare, e vi si dedica in prima persona. E si lanciano i giovani, che in Italia stiamo maltrattando da vergognarci.

Sia chiaro, non auspico l'epurazione dei "panzoni" (mi si passi il termine), ma che si dimostri sul campo che è possibile fare meglio. Collaborando tra le tante persone di buona volontà che ci sono (i dialoghi su aleablog lo dimostrano).

Per citare ancora Bob Dylan: Forever young, è questo lo spirito che ci vuole.

Sapio (31/10/2009 17.55) n/a

Letto, approvato, sottoscritto. Un abbraccio!

Gigi (31/10/2009 19.06) n/a

Sottoscrivo anch'io, professore.

Sarà un caso che il miglior banchiere d'Italia sia stato, prima che un consulente, un bancario?

E che molti (non tutti, per fortuna) consulenti siano diventati scarsi manager?

Luca (31/10/2009 19.40)

E' vero, Gigi, il manager di cui parli ha fatto gavetta in banca prima di passare alla consulenza. Va riconosciuto alle società di consulenza, quelle toste, di essere più capaci di accumulare conoscenza, fare scuola, formare capacità di leadership. Su questo le banche hanno fatto dei passi indietro rispetto a quando ero giovane. Naturalmente, dipende dalla banca, ieri come oggi.

mariolino (01/11/2009 16.56) n/a

Perchè non pensare ad un nuovo equilibrio. Equilibrio dove, anziche' interrompere l'era della relazione con il direttore di banca, e crearne una tutta sintetica fatta di rating e griglie di affidabilità su scala internazionale, si possa insediare, anche attraverso il mercato e non solo con ulteriori interventi legislativi, un sistema facilitatore a due livelli:il primo aderente e peculiare al segmento retail per i 106 ed il secondo molto avanzato attraverso i 107 per il corporate. D'altronde tutto il sistema si sta' evolvendo e si contorce sul sistema delle soglie. Non possiamo nascondere il fatto che gia' qualche 107, appena nato, incute preoccupazione allo stesso sistema bancario ( al quale fa' molto comodo ). Preoccupazione giustificata dal riscontro di una debolezza ed etrema fragilità del coefficiente di solvibilità, in uno scenario di crisi economica molto pesante. Io intravedo nel medio periodo, anche per nuove ed imminenti decisioni politiche, lunga vita per i 106 riorganizzati e indipendenti dalle organizzazioni di categoria e poco mercato per i 107, strutture senza piu' l'anima che le ha generate costretti a nascere dalle stesse associazioni di categoria, in ragione di vertici sempre piu' "collusi" con il sistema bancario ( Presidente di associazione o addirittura di confidi e contemporaneamente componente nel cda della banca ).

Dodona (05/11/2009 11.09) n/a

Mariolino, quali sono le nuove ed imminenti decisioni politiche cui fai riferimento ?

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