Ipotesi suggestive su scudo fiscale e smobilizzo dei crediti verso la PA

Tue 14 Jul 2009, 06.54 Stampa

Tra le anticipazioni sugli emendamenti alla manovra d'estate del Governo, ne ho ho trovata una interessante di Gianni Credit, sul sussidiario.net. Cito
L'operazione "scudo" - la terza lanciata da Tremonti dopo quelle del 2001 e del 2003 - questa volta sembra alzare l'asticella dei suoi obiettivi, il cui raggiungimento questa volta andrà probabilmente valutato in termini qualitativi e non solo quantitativi. I due precedenti hanno registrato un buon successo, facendo emergere un'ottantina di miliardi di capitali italiani all'estero e portando un paio di miliardi di incasso per l'Erario.[...] Le attese sull'aliquota (6-7% quella ordinaria, 5% quella agevolata, legata alla sottoscrizione di titoli per la ricostruzione dell'Abruzzo) sembrano già promettere una "mano politica" più ferma, meno condiscendente sul piano finanziario con chi ha accumulato capitali all'estero (diversa sarà ovviamente l'analisi della sanatoria sul piano legale-penale).
Ma all'indomani della Grande Crisi, l'obbiettivo vero di un ministro come Tremonti non può essere che "scuotere l'albero" dei flussi globali di capitali. Ancora in sintesi: questa volta non basterà "legalizzare" i capitali italiani; bisogna farli tornare concretamente in Italia.[...]
Però l'operazione-Tremonti deve raggiungere i suoi target veri: riportare i capitali nelle banche italiane (almeno in termini di depositi stabili, indipendentemente dalla forma tecnica); favorire il loro dinamismo in termini di investimenti finanziari e reali; dirottarne una parte verso progetti pilotati in senso lato dallo Stato, ad esempio intermediati verso le infrastrutture dalla Cassa depositi e prestiti. Oppure dalla Sace. La "vecchia" Società di assicurazione del credito all'esportazione, controllata dal Tesoro, è infatti in fase di avanzata mutazione strutturale-strategica. È già stata menzionata dal primo decreto anticrisi come veicolo per il sostegno del credito alle imprese e il suo ruolo prospettico è sempre più delineato dal provvedimento sui crediti vantati dalle imprese verso la Pubblica amministrazione.
La Sace, infatti, sta valutando l'acquisto della Factorit, la società di factoring delle Popolari, specializzata appunto nello sconto "pro soluto" di crediti. L'Economia sta ora valutando un maxi trasferimento dei crediti delle imprese verso la Pa (che sarà possibile certificare entro la fine del 2009) verso il sistema bancario, e già questa si profila come una "manovra colbertista" niente affatto piccola. Significa che grandi banche private e quotate in Borsa (come lo sono Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Ubi, Banco Popolare, etc) di fatto si faranno carico di crediti che lo Stato tarda a onorare alle imprese, a condizioni di fatto fissate dallo Stato stesso. Ma è probabile che una parte dell'operazione venga gestita direttamente dalla Sace (cioè dal Tesoro): ma in questo caso il sistema bancario sarebbe comunque chiamato a rifinanziare la "banca Sace", che si affiancherebbe alla "banca Cdp".
Se avete la pazienza di leggere (o rileggere) il mio paper su iCash troverete convergenze col disegno che il commentatore citato attribuisce al Ministro dell'economia.

Luca

Commenti precedenti:


excelsus (14/07/2009 09.47) n/a

La dura verità al di là dei proclami.

"LA REPUBBLICA - ECONOMIA

Il credito senza cultura

di TITO BOERI

LE NOSTRE piccole imprese rischiano di soffocare per la stretta creditizia operata dalle grandi banche. Lo ha detto senza mezzi termini il Governatore Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali e poi nell'intervento alla riunione dell'Abi in cui non ha lesinato critiche a chi lo ascoltava. Ma lo ha ricordato ieri anche il Presidente della Consob.

Lamberto Cardia lo ha fatto in una relazione annuale dai toni cardinalizi (questa volta non è mancata la citazione del pontefice, nella migliore tradizione di Antonio Fazio), tra le cui righe risalta la richiesta di un incremento del 15 per cento del salario medio per dipendente della Consob, in buona parte a carico del contribuente.

I dati sull'accesso al credito da parte delle piccole imprese, in effetti, parlano chiaro. Negli ultimi due anni c'è stato un forte calo del credito loro indirizzato che solo in minima parte può essere attribuito a una diminuzione della domanda di prestiti legata alla riduzione dell'attività. Come documentato dalle indagini Isae, un crescente numero di piccole imprese lamenta serie forme di razionamento nell'accesso al credito. E che il problema sia di un'offerta di credito insufficiente lo testimonia anche l'aumento del costo relativo del credito. Il divario fra il costo dei prestiti superiori a un milione e quelli più piccoli (soprattutto perché erogati all'impresa minore) è più che raddoppiato dal 2007 ad oggi.

Se le piccole imprese non riescono ad accedere al credito, rischiamo di assistere solo al lato distruttivo della recessione, la chiusura di imprese e la perdita di posti lavoro. Il lato creativo della recessione consiste, invece, nella nascita di nuove imprese e nella crescita di piccole imprese con buoni progetti che trovano nella disponibilità durante la crisi di macchinari e locali a più basso costo un'opportunità per fare il salto di scala. Ma per crescere queste imprese hanno bisogno di credito e sono proprio le imprese che hanno avviato importanti piani di investimento e ristrutturazioni nell'ultimo anno quelle che oggi si trovano col cappio al collo. Il problema dell'accesso al credito da parte delle piccole imprese va comunque ben al di là della congiuntura: come è noto, la nostra struttura industriale è dominata da imprese di piccole dimensioni. Le nostre unità produttive sono del 60 per cento più piccole di quelle degli altri paesi della Ue pressoché in ogni comparto. ■ un nanismo dovuto a una molteplicità di fattori, tra cui anche l'incapacità delle grandi banche di selezionare progetti imprenditoriali e di trattare con clienti relativamente piccoli, in cui conta molto anche la relazione informale.

■ tempo allora di affrontare seriamente il problema. Quando il ministro Tremonti dichiara, come ha fatto la scorsa settimana, che le nostre piccole imprese sono strozzate dalle banche, sta implicitamente confessando che le misure introdotte a marzo dal governo (il rifinanziamento del fondo di garanzia che avrebbe dovuto portare a 60-70 miliardi di nuovi prestiti per le imprese nelle stime, come sempre a molte cifre, del ministro) si sono rivelate del tutto inefficaci. Per affrontare seriamente il problema sarebbe stato meglio incentivare piani di ristrutturazione del debito (che avrebbero beneficiato soprattutto le piccole imprese) anziché detassare genericamente gli investimenti, comunque finanziati, con la Tremonti ter. Bene anche sviluppare istituti come il multiaffidamento che, come messo in luce da Fabiano Schivardi su lavoce. info, potrebbe evitare che le piccole imprese si vedano chiudere i rubinetti del credito contemporaneamente da tutte le banche (mediamente sono 5 per ogni piccola impresa) presso cui prendono a prestito. Anche la riforma degli ammortizzatori sociali sarebbe di grande aiuto alle piccole imprese che oggi vengono discriminate nell'accesso alla Cassa Integrazione, il che rende i loro piani di ristrutturazione economicamente e socialmente più costosi.

Ma, si ricordava, il problema è strutturale. Per superarlo davvero bisognerà cambiare il modo di fare banca in Italia. Non è forse tanto questione di dimensione e neanche dei comportamenti creditizi imposti da Basilea 2. Non è neanche un problema di liquidità, dato che le banche italiane continuano a disertare le operazioni di rifinanziamento a tassi dell'1 per cento (!) organizzate dalla Banca Centrale Europea. ■ soprattutto un problema di cultura. Ci vogliono banche che, invece di fornire credito a prezzi stracciati ai soliti noti, imparino a selezionare i progetti imprenditoriali, sapendo valutare le potenzialità che ci sono in molte piccole imprese.

(14 luglio 2009) "

Luca (14/07/2009 11.25)

Caro Excelsus: grazie della citazione, un po' lunghetta, a dire il vero. Che cosa l'ha colpita in particolare tra i giudizi di Boeri?

excelsus (15/07/2009 16.42) n/a

Che non si è fatto niente di serio per agevolare e mantenere l'accesso al credito delle PMI...Molta politica e lustrini e pochi fatti concreti.

Luca (15/07/2009 17.29)

Certo, ma Boeri indica anche delle strozzature dovute a inerzia degli intermediari, oltre che delle amministrazioni. Devono muoversi entrambi per dare attuazione ai provvedimenti dopo che sono usciti in prima pagina.

Excelsus (15/07/2009 19.22) n/a

Sicuramente è vero che le Banche hanno fatto ben poco per risolvere la strozzatura e cercano patrimoni di altri Soggetti, confidi 107 e/o fondi pubblici di garanzia, per mitigare i propri assorbimenti di capitale e condividere il rischio sui rischiosi impieghi alle PMI. Ma nè i confidi nè i fondi pubblici di garanzia potranno, da soli, risolvere i "problemi" delle Banche e quindi del mercato. Servono strategie innovative quali: a) diffondere una maggiore cultura finanziaria tra gli imprenditori, b)innalzare il livello di professionalità di dipendenti/collaboratori di Banche e Confidi e c) riformare le norme che regolano i Fondi pubblici di garanzia, oramai a dir poco obsolete. Purtroppo credo che a breve l'unico obiettivo raggiungibile sia il punto c). Iniziamo però tutti insieme a lavorare sui primi due fondamentali aspetti.

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