Basilea 2 e metodo standard: non proprio una passaggiata

Thu 3 May 2007, 08.38 Stampa

Sono a Roma per un seminario di ABI formazione sul metodo standard di Basilea 2. Sono presenti più di 70 partecipanti. I relatori più attesi sono i colleghi della Banca d'Italia. A complemento, parlano alcuni accademici (come me), consulenti e risk manager di banche.
Come sempre in queste occasioni, nascono molti spunti. Uno riguarda l'implementazione del metodo standard, che è stato scelto da più del 90% delle banche italiane. Rispetto all'attuale regime di Basilea 1, si tratta di un impianto molto più complesso. Pensiamo soltanto alla classificazione dei portafogli (sovrani, enti pubblici territoriali e non, enti non commerciali, banche, imprese, dettaglio, mutui su immobili residenzialicrediti scaduti, ecc.) ai quali si applicano tabelle di coefficienti differenziate, al fatto che un'esposizione possa essere classificata in più di un portafoglio (ad esempio un mutuo concesso ad un cliente retail), alla possibilità di utilizzare o meno i rating esterni di un'agenzia (ECAI) nei diversi portafogli. Gli incroci di criteri che guidano questo tipo di classificazioni non sono facilissimi da gestire, e ne sanno qualcosa i risk manger e gli analisti informatici che stanno curando l'upgrade delle procedure.
Ieri, nel suo intervento, Marco Corbellini, responsabile risk management e pianificazione della Federazione lombarda delle BCC, ha fatto un esempio emblematico: la classificazione di un'esposizione nel portafoglio retail. Un credito è trattabile come retail se soddisfa quattro requisiti: destinazione (privati o PMI secondo il limite di fatturato < 5 mln €), forme tecniche (solo crediti, non titoli), importo dell'esposizione complessiva verso il soggetto o il gruppo al quale lo stesso è collegato (< 1mln €) e granularità (il credito più grande non può incidere più dell'1% sul portafoglio, l'1% è stato deciso dalla Banca d'Italia tenuto conto della maggior presenza in Italia di banche piccole, nel documento di Basilea si parlava dello 0,2%). Ora, i sistemi di gestione crediti non sempre sono in grado, sulla clientela privati e small business, di assegnare il soggetto ad un gruppo. Anche il controllo della granularità non è lineare: è un procedimento ricorsivo, dato che la dimensione del portafoglio retail guida il calcolo delle incidenze delle posizioni maggiori. Se partiamo da un aggregato, ed escludiamo le posizioni che superano l'1% dello stesso, il totale si riduce, e con esso le incidenze delle esposizioni che rimangono: alcune di queste potrebbero superare l'1%, e andrebbero escluse a loro volta. Il gioco ricomincia, e si converge verso un aggregato coerente solo dopo qualche tentativo. Mica banale!
Pensiamo poi alla necessità di classificare nelle anagrafiche i rating, alla gestione dei casi di rating plurimi, ecc. E questo riguarda tutte le banche, se non altro per gestire gl investimenti in titoli.
Per evitare di scoperchiare il vaso di Pandora dei nuovi metodi, c'è una soluzione: il metodo standard semplificato, che non prevede il riconoscimento dei rating da ECAI, ma solo la classfiicazione delle esposizioni in portafogli con coefficienti fissi. E' probabile che molte banche piccole optino per questa soluzione.
Si è discusso anche di ECAI, ma ne riparleremo in un prossimo blog.

Luca

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